giovedì 28 febbraio 2013

"ANNA POLITKOVSKAJA IN MEMORIAM" di Lars Norén e "Black Lights" di Elia Festa


Lunedì 4 marzo 2013, alle ore 21, alle Officine Creative Ansaldo (OCA) a Milano (via Bergognone 34) va in scena, per la prima volta in Italia, lo spettacolo Anna Politkovskaja in memoriam, testo di Lars Norén, tradotto da Annuska Palme Sanavio, con la regia di Salvino Raco.

Accoglie il pubblico “Black Lights”, il suggestivo progetto fotografico di Elia Festa, che non si ferma alla pura documentazione del percorso creativo dello spettacolo, ma diventa lo strumento attraverso il quale si amplificano le tematiche affrontate in scena.
Il lavoro fotografico di Elia Festa è assolutamente inserito nel contesto generale del progetto e visualizza le emozioni e gli effetti attraverso una fotografia realizzata in scena con contrasti forti e ombre sature che evidenziano le caratteristiche dei personaggi interpretati facendo urlare le immagini come un reporter di strada e di vita.
Inoltre, lo spazio Officine Creative Ansaldo, ove s’incontrano le esperienze artistiche più innovative sul territorio milanese, esalta fortemente il carattere di ricerca dello spettacolo.
Lars Norén, spesso rappresentato in Italia (basti pensare a Guerra, Dettagli, Venti novembre, Freddo), è noto per la durezza dei suoi testi, sia i drammi borghesi, che s’ispirano a Strindberg e O’Neill, sia le pièce d’inquietante efferatezza, che non possono che stimolare riflessioni e dibattiti.
In occasione del debutto, nella mattinata di lunedì 4 marzo si terrà un incontro (dalle ore 10, ingresso libero), promosso in collaborazione con l’Assessorato alle Politiche Sociali e Cultura della Salute del Comune di Milano, cui parteciperanno psicoterapeuti, sociologi, formatori e autorevoli esponenti di enti e istituzioni che da anni operano sul territorio milanese in difesa di donne e minori.
Fra gli interventi, si segnalano quelli di Alessandra Kustermann e Don Gino Rigoldi, coordinati da Sara Gandolfi, giornalista del Corriere della Sera.

Photo by Elia Festa

Photo by Elia Festa

Photo by Elia Festa

Photo by Elia Festa

Photo by Elia Festa

mercoledì 20 febbraio 2013

Quella certa estetica del dolore

Paul Hansen - Gaza Burial (World Press Photo of the year)

Rari sono i momenti in cui i temi della Fotografia, quella con la F maiuscola, assurgono al dibattito pubblico e occupano un posto di rilievo nell'informazione.
Uno di questi momenti sembra essere l'annuale premiazione del Word Presso Photo, che ormai sembra far più notizia non per i temi che tratta quanto per il modo. In questi giorni infatti si fa un gran parlare della foto vincitrice di questa edizione, ovvero lo scatto di Paul Hansen che vedete in testa a questo articolo. Paradossalmente il discorso verte non sulla drammaticità della situazione rappresentata, ma sul fotoritocco apportato all'immagine.
"È giusto", si chiedono in molti, "ritoccare così pesantemente un'immagine come questa per renderla più appetibile e quasi patinata, in barba all'argomento trattato? È giusto vincere un premio per uno scatto del genere, così crudo, sfruttando il dolore della gente?"
Già altri ne hanno discusso, e di certo la risposta definitiva non verrà da questo post né dal sottoscritto. Quel che si può fare è cercare di fare un breve focus, esulando dai facili sensazionalismi e dai discorsi più consoni ad una sala d'attesa.
Ne ha scritto, si diceva, Renata Ferri (qui), già per due volte nella giuria finale del Word Press. Ne ha scritto Michele Smargiassi su Repubblica (qui). A mio avviso già questi due articoli affrontano bene l'argomento, pur non risolvendolo, perché tanto si potrebbe parlare a proposito e da tanto tempo, come si sa, se ne parla.
La postproduzione esiste da sempre, da ben prima della nascita di Photoshop, e da sempre è utilizzata. Non solo, ma molte delle fotografie di guerra divenute famosissime sono anche frutto di una messinscena, o presunta tale. Basterebbe citare il caso del Miliziano morente di Robert Capa come emblema di questo dibattito. Eppure nessuno, oggi, negherebbe il valore iconico e sociale di queste immagini. Nella foto di Hansen, tra l'altro, il fotoritocco si limita, come nella gran parte delle foto di reportage, ad un aggiustamento dei toni, della cromia e delle luci, senza nulla modificare dall'originale ma semplicemente esaltando ciò che già c'è.
Lì dove più che il fotoritocco c'è stato il "taroccamento" della foto, l'autore è stato velocemente scoperto e la sua carriera troncata. Oggi, a differenza di prima, è molto più facile trovare la foto tarocca, e la gogna mediatica è immediata e ha vasta eco.
Si potrebbe discutere come questo tipo di color correction, ormai diffusissimo, abbia in realtà creato un effetto di appiattimento tra gli autori, coadiuvato dall'uso quasi onnipresente del grandangolo, a scapito di un'estetica e di un linguaggio personale. La postproduzione è talmente simile che spesso si fa fatica a distinguere un autore da un altro. Inoltre la ridondanza dei temi trattati, dei luoghi ripresi e delle situazioni di certo non aiutano a distinguere il tratto personale dell'autore. E creano, nell'osservatore, quello che qualcuno ha definito anestesia al dolore.
C'è anche chi, chiedendosi se sia giusto incentrare il fotogiornalismo sulla tragedia, sulla morte, sulla sofferenza, propone di abolire il Word Press Photo (qui). È un'opinione, sicuramente una valida riflessione, ma abolire il premio non porrebbe sicuramente fine alla più o meno presunta mercificazione del dolore né tantomeno fermerebbe i fotografi.
Come ha già notato la Ferri:
Colonizzatori di tragedie, un esercito d’occupazione del dolore, sono i fotogiornalisti improvvisati, ingenui, spesso sprovveduti che cercano nella foto sensazionale il riscatto a una carriera modesta o incerta. Non vale per tutti ovviamente e non è rivolto a nessuno in particolare ma certo, da quando questo mondo globale del dolore e delle guerre è a portata di volo low cost, è diventato un teatro accessibile per qualsiasi desiderio di veloce fama, a scapito di una ricerca consapevole, originale e rispettosa.
Ed è un po' paradossale, al contempo, che proprio il vasto pubblico critichi quel certo utilizzo della postproduzione quando quello stesso pubblico è subissato per ogni dove da immagini pesantemente manipolate e spesso, quando prodotte da chi con la Fotografia (sempre quella con la F maiuscola) ha un rapporto pressappoco nullo, giocoso, hobbystico, di scarsissimo valore.
L'abbassamento del gusto sta diventando il vero vulnus della questione fotografica, perché inizia anche a coinvolgere chi le foto le pubblica e chi ci lavora. Ma questo è un'altra questione. Nonostante tutto, il vasto pubblico avverte che davanti al dolore, alla tragedia, alla morte, si debba avere un confronto rispettoso e delicato come con il sacro, e forse per questo non perdona una manipolazione estetica, anche se funzionale. Il dolore non ha bisogno di abbellimenti.
Ma la Fotografia è anche arte, sempre, e l'arte è interpretazione. Se così non fosse, riesumate Picasso e chiedetegli di rifare Guernica, perché non è oggettivo e realistico, ma troppo originale e dà un'interpretazione troppo personale.
Qui poi ci sarebbe da discutere e spendere tante parole rievocando quanto detto sulla fotografia da Barthes, dalla Sontag e da tanti altri. Ma sono discorsi più che noti e già citati abbondantemente.
Voglio invece fare un'operazione diversa, portare il discorso a livelli più comprensibili e semplici, come si fa in una discussione tra amici. E proprio da lì che prendo spunto. Da un post che ho scritto stamattina su Facebook, linkando l'articolo di Smargiassi di cui sopra. Accompagnavo l'articolo con una breve riflessione, che riassume quanto detto in questo articolo: qual'è il limite dell'estetica di fronte all'etica?
Hanno risposto un po' di amici, fotografi per la maggior parte. Si è discusso, si è scherzato anche. Ma di tutti gli interventi, uno in particolare voglio riportare qui. È un parere che ho espressamente richiesto, perché so che è il punto di vista che finora è mancato. È un commento di Laura Silvia Battaglia (qui il suo sito), cara amica e giornalista che da anni fa su e giù tra l'Italia e i paesi mediorientali, una di quelle che la guerra l'ha vista dal vivo e l'ha raccontata.
Laura è stata generosa e invece di un breve commento, mi ha scritto un piccolo articolo, nel linguaggio amichevole e diretto dei social network (e per questo ancora più efficace) che riporto letteralmente:
L'estetica del ritocco sta in parte condizionando il lavoro dei fotografi, in parte modificando i gusti del pubblico. Ma il dato di fatto è che i photoeditor (che sono gli unici a cui spettano una serie di responsablità e azioni decisionali) chiedono ai fotoreporter esattamente questo tipo di prodotto più leccato. Se non photoshoppi non vendi. La domanda che dobbiamo farci è perchè. Non è solo una questione di tecnica ma una questione culturale. Ciò che Hansen ha fatto su un'immagine, gli autori del documentario "Armadillo" (qui il trailer, N.d.A), l'hanno fatto su tutto il loro lavoro, che riguardava la partecipazione dei soldati danesi della Nato nella guerra in Afghanistan. Questo docu è un trionfo della color, cioè dell'estetica del photoshoppaggio sulla realtà della guerra. Nel video tutto è settato sui colori sabbia e verde, eliminando quasi completamente il magenta. Anche qui: perché? E' una scelta estetica. Qual è l'effetto di questa scelta estetica? L'Afghanistan che lo spettatore vede semplicemente non è l'Afghanistan (lo dice una che c'è stata due volte): la luce appare morbida, appena accennata; non c'è la durezza e la crudezza del paesaggio. E, soprattutto, anche quando viene mostrato un soldato ferito, non c'è rosso, non c'è sangue. Ma qual è dunque il messaggio? Il messaggio è questo: il soldato danese è perso in una landa desolata, fangosa e fumosa. Tutto è poco chiaro, anche la morte. Ma chi la vede dallo schermo non la sente, quindi si illude di rimanerne lontano, distante. La guerra dunque, è un incubo dal quale forse ne usciremo vivi ma è un incubo meno grave del previsto. Adesso veniamo ad Hansen. Mi sembra evidente che la ricerca estetica di questo fotografo sia stata fondamentale. Ma, in questo caso, mi sembra che potenzi proprio una scelta etica: vale a dire mettere questo scatto a servizio della retorica della morte tipicamente Mediorentale, dove il martire va mostrato in una sorta di nuova e islamica pietà, il tutto in funzione politicamente antiisraeliana, oppure umanamente e semplicemente contro la follia della violenza e della guerra. Se posso essere sincera, avendo molti amici fotografi palestinesi che hanno fotografato i fratellini durante lo stesso percorso, da varie angolazioni e poi alla morgue, e pensando a tutte le foto di martiri che intasano i canali youtube che i ribelli siriani e prima libici mi mandano ogni giorno, dico che ben venga il lavoro di Hansen che ha messo una pratica occidentale abusatissima come il ritocco fotografico a servizio delle news in aree di crisi. Paradossalmente il messaggio che rilascia Hansen è l'opposto di quello degli autori di Armadillo: questa color non mitiga ma risalta la morte, la rende molto più tragica, meno ordinaria. E soprattutto la eternizza, la ferma per sempre a simbolo di una guerra che non ha mai fine. Certo, lo fa con gli stessi mezzi degli autori di Armadillo ma l'obiettivo è esattamente il contrario di quello che hanno perseguito costoro. Infatti, perché nessuna polemica ha investito la "ricerca estetica" degli autori di Armadillo nel mostrarci la guerra in Afghanistan come una realtà fumosa, anzi sono stati lodati per questo? Semplice, perché quando la morte ci riguarda in prima persona e non è quella degli altri, ben venga illuderci che è meno cruda. E la color vale quanto un analgesico. Stavolta invece, nel caso di Hanses intendo, la color vale di più di un macchia di sangue palestinese perché di quelle macchie ne abbiamo viste tante, troppe, e non ci dicono più nulla.
Mi sembra che non ci sia molto altro da aggiungere, se non questo breve commento di un'altra cara amica, Alessandra Quadri, fotografa reportagista (qui i suoi lavori):
La postproduzione è sempre esistita ed il problema non è etico se non manipola la realtà. Sicuramente non è il primo caso di uso forzato di photoshop in concorsi di fotogiornalismo, ne', di sicuro, è il caso più esasperato. Se la foto non è stata manipolata (esistono modi per manipolare il raw) allora l'uso di photoshop della foto è legittimo: il limite dipende dalla sensibilità della giuria. Ma si tratta di sensibilità, quindi opinabile fin che si vuole, ma sacrosanta. Più interessante è per me è capire i meccanismi della "questione culturale", dell'estetica della post produzione, come diceva Laura qui sopra. Il perchè il mercato continui a richiedere un certi tipi di prodotti e perchè stia condizionando il lavoro dei fotografi, appiattendo lo stile e rendendo tutte le immagini di reportage sostanzialmente simili. Quasi nessuna foto rimane impressa nella memoria. E questo è un vero peccato.
Concludo con una riflessione brevissima e semplice. Questo perché viene da una persona che è abituata per lavoro a riassumere concetti molto complessi e vasti in poche semplici parole: non è facile spiegare certe cose ai ragazzi di seconda elementare. 
È molto probabile che l'immagine originale, non manipolata, avrebbe avuto lo stesso effetto shockante, avrebbe reso il dolore nello stesso modo. Ma così lavorata, rende meglio l'atmosfera che il fotografo ha percepito in quel momento.
Perché la pellicola, o il sensore, sono pur sempre mezzi meccanici, e valgono ben poco senza l'interpolazione dell'animo umano.


Giuseppe Biancofiore



mercoledì 13 febbraio 2013

Una brutta notizia

Una brutta notizia, è morto Gabriele Basilico.

Un grande fotografo un grande amico. Il dolore per questa perdita ci lascia senza parole
e la viviamo con grande tristezza.
Se pur ammalato ha continuato a lavorare con forza ed energia.
Gabriele è stato maestro e mentore allo stesso tempo.
Custodiamo gelosamente i suoi insegnamenti erigendoli a lezioni di vita.

Un forte abbraccio a Giovanna Calvenzi da tutti noi.

Il direttivo AFIP

By Claudia Rocchini

Norma per la regolamentazione della professione del fotografo


Riportiamo l'articolo di Antonio Mecca dal sito della CNA Lombardia.

Venerdì 8 febbraio 2013 (giornata significativa) è stata pubblicata la norma 
UNI 11476 "Figure professionali operanti nel campo della fotografia e comunicazione visiva correlata - Requisiti di conoscenza, abilità, competenza", insieme a quella dei Patrocinatori Stragiudiziali. Una tappa molto importante  raggiunta della commissione tecnica "Attività professionali non regolamentate/Uni" promossa dalla CNA e condotta da Giorgio Berloffa, Presidente di CNA professioni, che ha operato con attività molto intensa negli ultimi due anni presso l'Ente Nazionale di Unificazione.
La norma sui fotografi  definisce i requisiti relativi alle specifiche attività professionali del professionista nel campo della comunicazione visiva per immagini fotografiche fisse o in movimento nelle sue differenti declinazioni e rappresenta un punto di arrivo rilevante per tutto il settore, spiega Andrea Nannini, presidente Nazionale di CNA Comunicazione e Terziario Avanzato  nell'intervista realizzata presso la sede UNI.
I requisiti sono descritti, a partire dai compiti e attività specifiche identificate, in termini diconoscenza, abilità e competenza in conformità al Quadro Europeo delle Qualifiche (European Qualifications Framework - EQF) e sono espressi in maniera tale da agevolare i processi di valutazione e convalida dei risultati dell'apprendimento.
La norma sui fotografi opera in sinergia con la legge 4/2013 "Disposizioni in materia di professioni non organizzate", in particolare comporta la piena applicazione dell'art. 9.1 "Le associazioni professionali di cui all'art. 2 e le forme aggregative di cui all'art. 3 collaborano all'elaborazione della normativa tecnica UNI relativa alle singole attività professionali, attraverso la partecipazione ai lavori degli specifici organi tecnici o inviando all'ente di normazione i propri contributi nella fase dell'inchiesta pubblica, al fine di garantire la massima consensualità, democraticità e trasparenza.
Le medesime associazioni possono promuovere la costituzione di organismi di certificazione della conformitàper i settori di competenza, nel rispetto dei requisiti di indipendenza, imparzialità e professionalità previsti per tali organismi dalla normativa vigente e garantiti dall'accreditamento di cui al comma 2", e dell'art. 6.2 e 6.3 "La qualificazione della prestazione professionale si basa sulla conformità della medesima a norme tecniche UNI ISO, UNI EN ISO, UNI EN e UNI, di seguito denominate «normativa tecnica UNI», di cui alla direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 giugno 1998, e sulla base delle linee guida CEN 14 del 2010.
I requisiti, le competenze, le modalità di esercizio dell'attività e le modalità di comunicazione verso l'utente individuate dalla normativa tecnica UNI costituiscono principi e criteri generali che disciplinano l'esercizio autoregolamentato della singola attività professionale e ne assicurano la qualificazione."
CNA Comunicazione e CNA Professioni programmeranno riunioni rivolte agli operatori della comunicazione visiva, su tutto il territorio nazionale, per illustrare le novità introdotte dalla Legge 4/2013 sulle Professioni non organizzate e dalla norma UNI 11476 appena pubblicata. (AM)