mercoledì 25 luglio 2012

AFIP domanda a Italo Zannier

Nell’ambito delle iniziative che AFIP sta mettendo in campo per aprirsi sempre di più alle nuove generazioni ci è parso utile cominciare col mettere in rete il quesito dei quesiti:
 “In questo terzo millennio di enormi cambiamenti tecnologici, in cui la velocità di fruizione delle immagini prodotte nel mondo è quasi istantanea, esiste ancora una specificità della fotografia italiana, un vedere italiano che differenzi la nostra fotografia da quella straniera?”
Qui di seguito una serie di risposte di esponenti che appartengono a vario titolo al nostro mondo e che serviranno da stimolo per aprire una discussione che speriamo ampia e a molte voci.
Il vostro parere è indispensabile per creare la fotografia del futuro!


“Secondo lei esiste una fotografia italiana? Se si, quali sono le caratteristiche che la contraddistinguono?”

Italo Zannier - Storico, fotografo e critico della fotografia

Risponde:

La fotografia “italiana” ha certamente un suo carattere ( non soltanto oggi, con il “paesaggio”, e storicamente fu in gran parte affidato alla tipologia “Alinari”, nella seconda metà dell'800. Una fotografia eccellente, specialmente nella “riproduzione” ( o meglio, nella trascrizione”, o”traduzione” … ) d'arte. Immagini comunque leziose, neutrali il più possibile nei segni della luce e nel contrasto grafico. Mai un azzardo nella prospettiva, un anomalia nel punto di vista o nell'illuminazione. Una fotografia persino noiosa, che gli storici dell'arte – a loro volta tradizionalisti “accademici”, hanno comunque utilizzata, ritenendo quelle immagini, una “copia tascabile” e obiettiva della realtà, in un pre-concetto che purtroppo sussiste.
Pochi invece, capirono che la fotografia è una “lettura” del reale- ideologica lettura, oltre che tecnica – come la pensò Corrado Ricci o Bernard Berenson, che la rispettavano e la pretendevano, specialmente quest'ultimo, un giudizio fotografico, prima di ogni altro.
Ma ritorniamo alla domanda!
Con un'altra premessa, però, affermando che la fotografia è innanzi tutto IDEOLOGICA. “ideologica” come concetto di vita, di illusioni, di progetti, infine di cultura.
Gli italiani, ideologicamente – è ormai un luogo comune -, sembrano invece ancora confusi ( anche in senso “nazionalistico” ) e ciò si riflette ovviamente non soltanto nella politica, ma anche nella produzione artistica compresa la fotografia. La nostra fotografia infatti generalmente neutrale, timida, vassalla di una nostrana cultura umanistica, persin provinciale, che tuttora ci penalizza anche negli studi filologici e concettuali.
L'identità della fotografia italiana credo vada ricercata li, in questa sua specifica “timidezza” , che a livello internazionale la relega spesso in serie B, nonostante tutto, anche i molti riconoscimenti ufficiali, che non mancano, a parole e medagliette e in cento mostre, tra eventi dilettanteschi e rievocazioni storicistiche. Il grande collezionismo, invece, sembra disattento nei nostri confronti, basti considerare le ultime aste londinesi!
Facendo finta di niente e con un po' di cattiveria, potremmo aggiungere che la fotografia italiana è ancora connotata ( si vedano i cataloghi dei tentativi d'asta ! ) da un'impresa fotoamatoriale, quella sviluppatasi appassionatamente nel dopoguerra, negli anni Cinquanta-Sessanta nel dibattito, spesso sterile, fra “formalismo” e “neorealismo” ( a loro volta eventi culturali ideologici, e persino politici ), spesso riferiti a esempi stranieri, già allora superati e arditamente imitati, come l'umanesimo francese o il soggettivismo tedesco. Anche il “paparazzismo”, a rileggerlo, fu “debole”, nonostante il beffardo Secchiaroli !
La nostra fotografia manca di “drammaticità” ( si salvò Mario Giacomelli, con pochi altri ), eppure abbiamo vissuto, e tuttora siamo immersi in momenti anche drammatici, eccome!
La politica, il giornalismo ipocrita ( nel dopo Longanesi e Pannunzio … ), hanno comunque spesso, a loro volta, condizionato anche il lavoro dei fotografi, annacquando la specificità e l'efficacia internazionale della nostra fotografia.

Cordialmente, con molti auguri per la sua iniziativa.

Italo Zannier, Lignano Pineta 3 Luglio 2012.

martedì 24 luglio 2012

AFIP domanda

Nell’ambito delle iniziative che AFIP sta mettendo in campo per aprirsi sempre di più alle nuove generazioni ci è parso utile cominciare col mettere in rete il quesito dei quesiti:
 “In questo terzo millennio di enormi cambiamenti tecnologici, in cui la velocità di fruizione delle immagini prodotte nel mondo è quasi istantanea, esiste ancora una specificità della fotografia italiana, un vedere italiano che differenzi la nostra fotografia da quella straniera?”
Qui di seguito una serie di risposte di esponenti che appartengono a vario titolo al nostro mondo e che serviranno da stimolo per aprire una discussione che speriamo ampia e a molte voci.
Il vostro parere è indispensabile per creare la fotografia del futuro!


"Secondo lei esiste una fotografia italiana? Se sì, quali sono le caratteristiche che la contraddistinguono?"

Alessia Paladini, galleria Forma

Risponde:

 La fotografia italiana esiste, ed è a mio parere molto vitale e stimolante, anche se non credo si possa parlare di una “scuola italiana”. Esistono grandi talenti, sia tra i maestri della tradizione del novecento che tra le nuove generazioni di emergenti; trovo però che sia necessario e imprescindibile uno sforzo maggiore per fare conoscere la fotografia italiana e i suoi protagonisti a livello internazionale, permettendo così di uscire da una dimensione “provinciale” che penalizza da sempre i nostri artisti”.

Alessia Paladini

Luca Panaro, critico d'arte

Risponde:

Venuta meno la possibilità di ricoprire un ruolo prestigioso nel nostro Paese, la fotografia italiana contemporanea ha cercato prima delle altre nazioni il riconoscimento oltre confine, e questo le ha dato un vantaggio considerevole rispetto alle “avversarie” europee. La grande varietà di proposte e di caratteri stilistici che la caratterizzano, ha permesso alla nostra fotografia di distinguersi dall'omologazione che spesso connota la scena internazionale. I fotografi italiani non si riconoscono in uno stile, non possiamo parlare di una “scuola”, anche se a volte lo si è fatto a proposito del paesaggio, piuttosto di una serie di battitori liberi accomunati da una spiccata sensibilità a cogliere i tratti salienti del proprio tempo.

Luca Panaro, critico d'arte 

martedì 3 luglio 2012

L'inizio 1960

1960. In un sala di posa milanese, nello studio di Giancolombo un gruppo di tredici uomini, con abito scuro e cravatta, guardano ironici verso l’obiettivo che rappresenta il quotidiano strumento del loro lavoro ed assieme un simbolico impegno associativo, cha da poco hanno assunto.  Sono i soci più attivi della novella Associazione Fotografi Italiani Professionisti, AFIP.

Da sinistra in alto: Giancolombo, Gianni Della Valle, Fedele Toscani, Alfredo Pratelli, Luciano Ferri, Gian Greguoli,
Mario Dainesi, Roberto Zabban, Aldo Ballo, Italo Pozzi,
Davide Clari, Edoardo Mari, Gian Sinigaglia
Un sodalizio dapprima ristretto, poi più esteso - ma sempre selezionato - che si pone il proposito ambizioso di rinnovare tecnicamente e culturalmente il mestiere della fotografia.
Negli oltre 52 anni che ci separano da quel gruppo in posa è racchiusa una lunga vicenda di sforzi creativi e deontologici, di maturazione tecnica e gestionale.
I soci dell’Afip, che fin dall’inizio non vollero costituirsi sulla base di una semplice rappresentanza sindacale o corporativa, ma anzi, subordinarono l’ammissione alla presentazione di un portfolio
di immagini, hanno costantemente rappresentato i caratteri di più alta dignità nella professione.
I soci dell’Afip si sono posti immediatamente il fine ambizioso di difendere la libera professione, rivolti soprattutto alla produzione industriale e pubblicitaria, alla moda, all’editoria.